In questo periodo di quarantena, ho avuto molto tempo per riguardare film o serie tv che avevo abbandonato nel tempo. Fra queste, Friends. Ora, non entrerò nella diatriba “è meglio Friends o How I Met Your Mother?”, perché credo siano prodotti culturali di epoche diverse e, per quanto simili raccontano con un taglio diverso situazioni generazionali in cui tutti ci siamo ritrovati, prima o dopo.
A essere sinceri, HIMYM è stata la serie che mi ha accompagnato negli anni del liceo, quindi ad alcune dinamiche sono più affezionato. Nel corso dei miei rewatch sono passato da una venerazione nei confronti di Barney a un sincero apprezzamento per la testardaggine di Ted, per quanto talvolta risultasse un po’ patetico. Ma un vecchio saggio una volta mi disse che l’amore deve essere proprio così, no?
Credo che i miei momenti preferiti riassumano anche l’essenza della serie, il motivo per cui nella mia testa sono così diversi: da un lato c’è il clamoroso WE WERE ON A BREAK, dall’altro c’è il corno blu e la danza della pioggia, un climax pazzesco per la prima stagione che deflagra così, debbotto, senza senso Biascica, apri tutto.

Un picco sentimentale che Friends raggiunge col tempo, facendo evolvere il rapporto tra Monica e Chandler; avessero fatto vedere la proposta di matrimonio al planetario - se avete visto la serie, sapete a cosa mi riferisco - forse avrei scritto qualcos’altro.
Il personaggio che batte tutti per me è l’immortale Chandler Bing. Dal primo episodio, quando racconta di un sogno in cui si ritrova nudo nella caffetteria del suo liceo. La sua evoluzione durante la serie è affascinante, soprattutto se si pensa a tutto quello che il suo interprete stava attraversando fuori dal set.
Chandler è un personaggio di spessore perché ti racconta il suo mondo senza parlarne, senza per forza abbandonarsi a piagnistei irritanti. Tranne quando chiede una coppa di gelato o abbraccia un vecchio vinile di Lionel Ritchie.

La cosa bella affascinante dei personaggi di queste serie tv è che iniziano a popolare le tue giornate come se fossero a tutti gli effetti parte della tua vita. Inizi a chiederti: come si sarebbero comportati loro, in questa situazione? Diventano una sorta di spirito guida attraverso cui rivivi alcuni momenti importanti e ti proietti verso nuove sfide.
Questi sono giorni particolari perché dieci anni fa, l’Inter vinceva la Champions League. Ora, mi immagino già la vostra reazione:

Lo so, lo so. Però vi ricordate cosa dice Silente a Harry Potter, quando si incontrano a King’s Cross alla fine del settimo libro? Esatto, questa è la mia festa. Quindi allacciate le cinture che si sta per partire per un altro viaggio nel tempo.

In questo caso, Silente fa una previsione sugli otto Scudetti consecutivi della Juventus
Onestamente non saprei spiegarvi perché vincere la Champions League rappresenti un orgasmo emotivo. È difficile, dovrei aprire quel mega capitolo che s’intitola: “Perché la gente è appassionata al calcio?”. Sono ventiquattro anni che provo a darmi una risposta, e per quanto vicino ci arrivi, la verità mi sfugge. È così, per maggiori informazioni consultare Febbre a Novanta, manuale di resistenza di quelli che soffrono della nostra stessa ossessione.
L’Inter ha vinto la Champions League e io ho provato a riassumere quell’assurdo, epico viaggio in cinque momenti. Qui e lì, troverete Chandler che appare a indicarci la via, nuovo spirito guida nei tempi bui, la libertà che guida il popolo alla ricerca della terra promessa, per trovare rifugio lontano dai popoli che ti dichiarano guerra urlandoti OH MY GOD nell’orecchio.
LE 5 FASI - CHANDLER BING x TRIPLETE
Non mi ricordo bene com’è successo. È cominciata come un gioco, un passatempo. All’intervallo dai quattro calci al pallone, ne parli un po’ con i compagni. Scegli una squadra, perché l’asilo è una giungla e sopravvivi solo nel branco. La domanda, come se a farla fosse Biascica, è di quelle che ti cambia la vita: ma tu, di che squadra sei?

Ancora non lo sai, ma quella risposta condizionerà la tua vita. Ti ritroverai a dover difendere quella scelta, se non a rinnegarla. Ma come dicevano in quel vecchio film, con giusto un pizzico di tono melodrammatico: puoi cambiare religione, puoi cambiare partito, puoi cambiare casa o paese. Ma non potrai mai cambiare la tua squadra di calcio.
Quindi, eccoci qua: l’Inter mi accompagna dal lontano 2001. Nell’ordine: uno Scudetto perso all’ultima giornata, un derby in semifinale di Champions League perso a causa dei gol in trasferta, un altro euro derby da sconfitti a causa del petardo a Dida, un’innumerevole sequela di lunedì mattina in cui mi presentavo in classe a farmi sbeffeggiare da tutti. Dovrebbero dare almeno un voto in più in condotta a chi affronta questi momenti con dignità.
Poi, la svolta.
FASE 1 - LA DISILLUSIONE
Dopo aver perso anche i tornei di burraco in spiaggia, l’Inter ha incominciato a vincere. Mancini è l’uomo della rinascita, José Mourinho deve essere quello della consacrazione. C’è entusiasmo intorno alla squadra, Mourinho è un uomo in missione. L’interista crede nei grandi sogni, ma non li afferra fino in fondo. Rimane lì, dubbioso se proclamarli o meno.
Mi ricordo che la sera di ferragosto mi chiedono di scrivere su un foglio un desiderio per poi inserirlo in una lanterna e bruciarlo. In uno spasmo di follia, scrivo, rivolgendomi non so bene a chi: “Ti prego, fammi vincere almeno una volta la Champions League”. Ora so che quel Ti prego non era indirizzato a Dio, o chi per lui, ma al nostro Bing: Chandler, redimi la nostra esistenza.

FASE 2 - IL DRAMMA
Quando la stagione incomincia sono pieno di speranze. L’Inter macina punti in campionato, demolisce il Milan con quattro reti nel derby, poi la squadra inizia a giocare in Champions League e crolla. Tre pareggi nelle prime tre partite e la concreta possibilità di dire addio già in dicembre alla competizione. Il primo pensiero è: no, non di nuovo. Torno a fare una bussatina al mio spirito guida: ti ricordi di me?
Non farlo ancora.
La partita decisiva è a Kiev, in quel gelido inverno che è sempre stato l’ostacolo più duro nelle campagne europee dai tempi di Napoleone. L’Inter, manco a dirlo, va sotto e all’intervallo è fuori dalla Champions League.
Il mio stato d’animo, in quel momento, è questo:

Mi raccolgo in preghiera, rannicchiato sul divano, e aspetto. Con i miei amici, contravveniamo alla regola non scritta di non scriverci MAI durante le partite, per un timido: È già finita?
Ma Chandler è misericordioso e si affaccia alla finestra per cambiare le sorti del cinico destino. Aspetta fin proprio la fine, perché così è certo che i suoi adepti sapranno riconoscere i segni del suo intervento. A una manciata di minuti dalla fine, l’Inter compie l’impossibile: due gol in cinque giri d’orologio, la possibilità di crederci ancora.
FASE 3 - IL MOMENTO
È difficile dire quando abbiamo iniziato a crederci per davvero. Ci sono tanti momenti che segnano la direzione di una stagione. Se ne dovessi trovare uno più di altri, direi quella notte a Londra. L’Inter gioca il ritorno degli ottavi di Champions League contro il Chelsea, dopo aver battuto gli inglesi 2-1 all’andata. Deve difendere il risultato e, per gradire, fare un gol.
Le tre settimane che dividono le due partite sembrano infinite. Poi, arriva il momento. Si gioca, Mourinho confeziona la partita perfetta. Il Chelsea non riesce a costruire gioco, l’Inter è organizzata militarmente. L’apoteosi la si raggiunge quando Sneijder si coordina in un fazzoletto ed esegue un lancio misericordioso che pesca sulla corsa Eto’o: il Re Leone s’invola a rete e con un tocco magnifico suggella il passaggio del turno.
Io in quell’istante:

La nostra guida, consapevole di averci mezzo lo zampino un’altra volta:

FASE 4 - LA RINCORSA
La corsa si fa più intensa. L’Inter è impegnata su tre fronti, per un’impresa mai riuscita a una squadra italiana. Non credo di poter descrivere l’atmosfera di San Siro di quei mesi, era eccitazione allo stato puro. La Roma tallona l’Inter e Mourinho perde qualche colpo: qualche pareggio di troppo e uno scudetto che sembrava in tasca torna a essere combattuto. Il destino sembra averci avvertito: più in alto sali, più fragorosa è la caduta. Quanto ci vuole per perdere tutto?
Nel frattempo, l’Inter pesca il CSKA ai quarti di Champions League. Poi, il Barcellona. Mi ricordo che con i miei amici ci siamo guardati e ci siamo detti:

L’Inter cede il passo alla Roma dopo un sanguinoso 2-2 a Firenze. La settimana successiva gioca contro la Juve, poi l’andata con la squadra di Guardiola. L’attenzione del mio gruppo di amici è monopolizzata e a chi ci dice che stiamo raggiungendo livelli d’ansia preoccupanti solo per una partita, rispondiamo:

Perché, perché non capisci?
Prima di quelle due partite, ho un altro confronto con l’Altissimo. Siamo arrivati fin qui, perché fermarci proprio ora?

Diciamo che quando analizzo il mio rapporto con l’Inter, è una domanda che mi faccio spesso
FASE 5 - IL TRIONFO
Il resto, è storia. A Milano l’Inter batte i marziani del Barça, poi in Catalogna Mourinho orchestra una difesa leggendaria. Per anni ho avuto gli ultimi otto minuti di quella partita sul telefono e, quand’ero un po’ giù di morale, li riguardavo. Nessuno, se non chi l’ha vissuta, sa cosa ha voluto dire affossare quella squadra di giganti.
In campionato, la Roma inciampa sulla Sampdoria e l’Inter riacquista il comando del proprio destino al fotofinish. Vince la Coppa Italia, batte soffrendo il Siena e nell’ultimo atto della Champions League batte il Bayern Monaco senza angosce.
L’unico momento d’ansia ce l’abbiamo a inizio secondo tempo, quando io e un mio amico ci siamo scambiati di posto sul divano: in quel momento il Bayern ha una concreta occasione di fare gol, così io e lui ci prendiamo di forza e letteralmente ci ributtiamo nelle posizioni d’inizio gara.
Veleggiamo verso la vittoria finale, un tripudio emotivo. Immaginateci così, trionfanti al termine di un’epopea epica:

Quella notte e quella stagione hanno di fatto chiuso in ciclo. Dieci anni fa, come cantano i Dogo, avevamo solo un milione di cose da dire. Quell’Inter ne ha dette molte per noi e ci ha permesso, sempre per citare Silente, di andare avanti. Raggiunto quel sogno, abbiamo cominciato a diventare grandi. Chi s’è messo a studiare sul serio, chi ha cambiato città, chi s’è dato ad altri interessi.
Io di Inter ho cominciato a scrivere, dopo quella stagione. L’ho fatto diventare un lavoro, poi all’Università ho preso una pausa dal mondo del calcio. Ho iniziato ad avere altri interessi cui oggi dedico più tempo rispetto a sapere chi fosse il terzino sinistro del Chievo nel 2006/07. Che per inciso è Salvatore Lanna, ma questa è un’altra storia.
Sono un insospettabile: tra gli impegni di lavoro, il cinema, i libri nascondo i colloqui che io e l’Altissimo abbiamo ancora, di tanto in tanto, sulle sorti della mia squadra.
Sono passati dieci anni. Va tutto bene.